Prima c’è l’ulivo, un monumento sempreverde. È un albero arcaico: basta guardarlo, il fruscio delle sue fronde si porta dentro il Mediterraneo. Poi arriva il frutto, l’oliva, con la sua croccantezza.
E poi, alla fine, arriva l’olio: fragrante e nobile, generoso con pesci e carni, e con le verdure di un orto ritrovato.
Di ulivi ne ho piantati, e continuo a piantarli. Li cresco ostinatamente, come è nel mio carattere. Ho scelto le cultivar Bianchera, Gorgazzo, Savorgnana, che si sono ottimamente ambientati in questa terra dove i venti da nord e nord est si alternano costantemente all’aria più calda proveniente dall’Adriatico. Questi ulivi sani, nodosi e fieri, oggi disegnano una parte importante del mio paesaggio, accanto alle viti. Lavorarli è faticoso, data la loro crescita lenta, le attese sono interminabili, e c’è sempre l’incertezza del clima. Ma allevare ulivi e vederli crescere è un gesto antico: l’olio, devi proprio volerlo.
Sarà per questo che l’ho chiamato “v’olio”.